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30 anni di Ghostbusters, la (fantasiosa) scienza degli Acchiappafantasmi

Visto che dall’uscita statunitense della pellicola corrono esattamente trent’anni (parliamo dell’8 giugno 1984), la celebrazione del culto dei Ghostbusters è d’obbligo. Il modo migliore per farlo, da bravi nerd, non può essere che risalire a quello che, secondo la leggenda, ha ispirato il film: la lettura da parte di Dan Aykroid (noto appassionato di fenomeni paranormali) di un articolo sulla fisica quantistica. Metti suggestioni scientifiche e fatti inspiegabili assieme, ed ecco il botto. Per inciso, c’è poco da fare i puristi a riguardo: nei mesi in cui il buon Dan scriveva la sceneggiatura, a Princeton era in piena attività il Pear (Princeton Engineering Anomalies Research), un laboratorio in cui si studiavano le interazioni tra la consapevolezza umana e gli eventi fisici casuali, nonché le percezioni extrasensoriali. Un po’ quello che fa Peter Venkman all’inizio della pellicola, anche se il suo utilizzo della corrente elettrica su cavie umane è ispirato a tutt’altra fonte: si tratta infatti di un omaggio al celeberrimo Esperimento Milgram del 1961, che faceva parte di uno studio sulla psicologia sociale e serviva a capire se la gente era disposta a far male a degli sconosciuti solo perché aveva ricevuto un ordine. Ma questa è un’altra storia.

Tornando agli Acchiappafantasmi, per capire la loro fisica non c’è che da partire dai fantasmi stessi. Bene, dal copione si evince che sono fatti di energia psicocinetica. A sua volta composta da elettroni, neutroni ed ectoplasma. Quest’ultima è una sostanza che in natura non troviamo: la definizione del termine risale al 1894 e la dobbiamo al fisiologo francese Charles Richet, che chiamava così la sostanza secreta dai medium durante lo stato di trance (!). Insomma, è la parte magica della questione, quella che con la scienza non ha nulla a che vedere. Meglio concentrarsi sugli elettroni, che come è noto hanno carica negativa. Un concetto che sta alla base di tutte le soluzioni per la caccia allo spettro elaborate da Egon Spengler (interpretato dal compianto Harold Ramis). A partire dall’arma più potente in dotazione alla squadra: lo zaino protonico, che in sostanza è un ciclotrone portatile. Cioè una macchina che crea fasci di particelle a elevata energia cinetica. In questo caso protoni, che hanno carica opposta a quella degli elettroni e che quindi attirerrebbero il fantasma, bloccandolo.

La coerenza (anche se traballante) c’è. L’incognita resterebbe la stazza: parlando degli attuali acceleratori, quello del Cern ha una circonferenza di 27 chilometri e la macchina più evoluta tra quelle in fase di sviluppo, l’International Linear Collider, è lunga 31 chilometri. Egon, a quanto pare, non solo è un grande scienziato, ma anche un designer eccellente. Il vero dubbio, allora, è un altro: gli acceleratori generano fasci collimati di particelle, che viaggiano parallele tra loro. Perché l’invenzione di Spengler produce raggi che oscillano? Altra divagazione divertente sul tema: due scienziati della University of Maryland hanno calcolato – basandosi su una teoria del 1994 – che sarebbe possibile creare un raggio laser a partire dal positronio, un composto che si ottiene mescolando materia e antimateria. Alla pubblicazione della notizia, c’è chi ha tirato in ballo proprio i Ghostbusters. Il laser di cui si parla, però, sarebbe a raggi gamma. I suoi fotoni ad alta energia, con la loro carica nulla, non smuoverebbero il fantasma di un centimetro. Dallo zaino protonico alla trappola per fantasmi (e all’unità di contenimento, che funziona allo stesso modo), il passo è invece più breve, grazie a un principio base simile. Qui, però, logica vuole che si torni agli elettroni: perché la trappola sarebbe un generatore di campi elettromagnetici. E il fantasma, come abbiamo visto, è a carica negativa. Avete presente che cosa succede quando si avvicinano due poli con lo stesso segno? Si respingono. Per imprigionare il fantasma si fa così: gli si costruisce intorno un campo negativo che lo respinge quando prova a muoversi verso l’esterno.

Per misurare un fantasma, ci vuole il giusto metro

I campi elettromagnetici sono alla base anche del sistema di rilevazione usato dai Ghostbusters, che trova nel P.K.E. meter (letteralmente: misuratore di energia psicocinetica) il suo manufatto più noto. Anche stavolta, tutto coerente: se i fantasmi sono fatti di quel tipo di energia, tanto vale misurarla direttamente per scovarli. La cosa curiosa è che anche i cacciatori di fantasmi realmente in attività usano dispositivi di questo tipo. Il che – posto che la scienza non riconosce l’esistenza dei fantasmi – potrebbe avere un senso. È stato provato in laboratorio che forti campi elettrici o magnetici possono provocare nei soggetti umani la visione di lampi di luce o fosfeni. Se qualcuno dice di vedere uno spirito, una condizione di questo tipo potrebbe spiegare il fenomeno: giusto allora fare le opportune misurazioni. A proposito, lo psicologo canadese Michael Persinger è arrivato addirittura a sostenere che l’applicazione di campi magnetici ai lobi temporali possa indurre un soggetto all’estasi mistica. Questa teoria ha portato alla creazione di un fantomatico God Helmet, un casco progettato proprio per stimolare stati di percezione alterata a sfondo religioso. E allora, visto che ci siamo spinti fino a questo punto e che l’articolo in qualche modo va chiuso, non resta che citare le immortali parole di Winston Zeddemore:  “Ray, quando qualcuno ti chiede se sei un dio, tu gli devi dire sì!“.

30 anni di Ghostbusters, la (fantasiosa) scienza degli Acchiappafantasmi è stato pubblicato per la prima volta su Wired

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